Formazione e Ricerca

Premessa

L’art. 33 della Costituzione recita: “L’arte e la scienza sono libere e libero ne è l’insegnamento” e aggiunge subito dopo: “La Repubblica detta le norme generali sull’istruzione ed istituisce scuole statali per tutti gli ordini e gradi”.

Nella cosiddetta “Prima Repubblica”, pur tra contraddizioni e ritardi che la sinistra italiana e il mondo della cultura non hanno mancato di denunciare, si è cercato comunque di interpretarne il senso e di risolvere positivamente le contraddizioni che potessero nascere tra i due enunciati.

Lo Stato, dunque, si impegnava, nel formulare programmi, procedure, indirizzi, e nel predisporne i mezzi, di garantire quella libertà di pensiero e di indirizzi didattici che era imposta dal primo comma. Di fatto i programmi ministeriali, per tutti gli ordini e gradi della scuola, si limitavano a indicare gli obiettivi, in termini di sapere e di saper fare, che erano ritenuti irrinunciabili previo confronto con il mondo della scuola e della cultura, astenendosi invece dall’imporre giudizi e scale di valore. L’obiettivo di un’unità culturale complessiva, a livello nazionale, era invece perseguito attraverso gli esami di Stato che, al termine delle scuole secondarie superiori, veniva effettuato da commissioni i cui membri provenivano, in modo imprevedibile, da tutto il territorio nazionale, includendo, in funzione di presidente, un rappresentante del mondo universitario.

A partire dagli anni ‘90, sotto la spinta dell’ideologia neoliberista imperante, si è invece innescato un processo volto a subordinare la cultura, la formazione e la ricerca scientifica, alle logiche di mercato come fine supremo. Con il pretesto di realizzare forme di autonomia scolastica e universitaria, si sono configurate le singole scuole e università come entità aziendali autonome, in concorrenza tra loro, ma sempre più soggette, culturalmente, a criteri e scale di valore centralizzate a livello ministeriale e a criteri di valutazione definiti oggettivi, ma di fatto, ancora una volta, mutuate dalla logica di mercato.

Non sfugge, poi, come tutto questo si sia accompagnato, nel contesto di una politica spicciola e mediocre, ad una costante attenzione al contenimento e alla riduzione della spesa. È un fatto che istruzione e ricerca, unitamente alla sanità, siano stati, negli ultimi decenni, i più facili serbatoi da cui attingere risorse per far quadrare i bilanci senza toccare interessi forti e senza incidere sui processi economici e di sviluppo.

Nel proporre una svolta, non pensiamo al ripristino puro e semplice di una preesistente realtà, che andava comunque rinnovata in un mondo che cambia. Riteniamo, però, che proprio da lì debba partire ogni riflessione, dal momento che i successivi mutamenti hanno segnato prevalentemente regressi anziché progressi. Nel seguito non vogliamo dare soluzioni rigidamente costituite, ma indicare punti focali e linee d’indirizzo su cui sviluppare il confronto.

Scuola.

Scopo primario della scuola deve essere la formazione dell’individuo in tutte le sue manifestazioni, sia come singolo sia come elemento di una società complessa. Le competenze professionali sono parte importante di tale formazione, ma è folle pensare che ne possano costituire il nucleo fondante, anche perché le professioni possono cambiare nel corso della vita di un individuo e divenire obsolete nei processi produttivi.

Nel contesto di una società sempre più tecnologica e globalizzata, è certamente da accogliere l’accresciuta attenzione verso le lingue straniere, le tecnologie e i saperi scientifici. Ma questo non può avvenire a discapito dei significati e dei valori che secoli e millenni di storia hanno accumulato e che costituiscono le basi fondanti della civiltà. Il P.I.L. deve servire alle persone nella loro interezza e non queste alla produzione del P.I.L.

L’educazione civica, unitamente allo studio della storia, deve trovare una sua collocazione stabile e indiscussa. Essa deve mirare alla consapevolezza di essere cittadini del mondo, oltre che del proprio paese. Che siamo tutti condomini di uno stesso pianeta e che questo, per nostra incuria, può deperire e morire. Deve rendere consapevoli e partecipi dei valori su cui si fonda la Costituzione Italiana e La Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, i motivi fondanti dell’Unione Europea.

La cultura classica non è un lusso da intellettuali snob (“La cultura non si mangia” ebbe a dire un noto personaggio politico dei nostri tempi). Essa è la fonte del senso e dei significati dell’intera civiltà in cui viviamo: ne costituisce le fondamenta e ne garantisce, insieme alla riflessione filosofica, l’evoluzione cosciente e consapevole.

La cultura scientifica non deve essere separata dal contesto ma si deve con esso integrare, anche attraverso la conoscenza delle sue origini e dell’evoluzione storica.

Le modifiche ai programmi non possono avvenire, ad ogni cambio di stagione politica, secondo l‘estro o le inclinazioni del ministro di turno o di ristrette cerchie burocratico-ministeriali. Devono scaturire da un vasto e approfondito confronto nel mondo della scuola, della cultura e della società civile, ed essere formalizzate in commissioni nelle quali tutte le istanze interessate siano rappresentate.

I cosiddetti test oggettivi di valutazione possono avere senso come strumenti di analisi e ricerca su problematiche specifiche e, di volta in volta, circoscritte. Ma diventano una pericolosa mostruosità quando (ne sono un esempio i test Invalsi) pretendono di produrre valutazioni complessive dei processi formativi, quando pretendono di stabilire graduatorie di merito, quando, dichiaratamente o meno, focalizzano l’attenzione di docenti e studenti, impoverendo di fatto l’indefinita e variegata ricchezza dei valori culturali.

I principi ineludibili di laicità su cui si fonda lo Stato, non precludono la formazione religiosa, ma allo stesso tempo impongono l’eguaglianza e il pieno rispetto di tutte le tradizioni e sensibilità.

Funzione docente

Il reclutamento deve avvenire per concorso in modo da coprire l’intero fabbisogno programmato. Il ricorso a supplenze deve essere riservato a coprire i soli margini di imprevedibilità.

Salvo inadempienze e palesi incapacità deve essere garantita una regolare progressione di carriera, condizionata solo dalla partecipazione attiva e regolare ad attività di aggiornamento e formazione permanente. Premi e riconoscimenti possono essere opportuni come ulteriore incentivo, ma sono da escludere sistemi di progressione economica fondati su forme, potenzialmente divisive, di competizione permanente. La scuola non è un torneo e vanno incoraggiate invece tutte le forme collaborative all’interno della singola scuola e tra scuole differenti, sia per attività curriculari sia per iniziative extracurriculari.

La formazione iniziale, oltre alle competenze disciplinari, deve includere competenze specifiche di scienze della formazione. È da valutare, quindi, per le scuole secondarie di primo e secondo grado, se questa debba essere inclusa in corsi di laurea specifici ad indirizzo didattico, o mediante specifici corsi post-laurea, come per breve tempo si è provato a sperimentare (v. S.I.S.). In entrambi i casi, sia la formazione iniziale che quella permanente (aggiornamento), deve essere centrata sulle Università, dove va incentivata la ricerca e la sperimentazione in campo didattico e formativo.

L’accesso ai corsi post-laurea, ove attuati, dovrebbe avvenire per concorso a numero programmato per garantire da un lato la copertura del fabbisogno e dall’altro l’immediata entrata in servizio al termine del percorso.

Università e ricerca

Da tempo l’Università italiana attendeva una riforma che adeguasse il sistema alle mutate esigenze, quando, alle soglie del nuovo millennio, veniva varata la Riforma Berlinguer.

Uno dei problemi che si ponevano era quello di rispondere alla richiesta di professionalità intermedie accanto a quelle più specialistiche al massimo livello. Per motivi di contenimento di spesa si è optato per l’integrazione dei due livelli in un percorso unico (formula del 3+2), per tutte le aree disciplinari, tranne la medicina. Formula da varie parti contestata perché, dovendo produrre professionalità intermedie in beve tempo, comprime forzatamente la formazione teorica di base.

Ciò che ha prodotto i guasti maggiori è stata comunque la progressiva riduzione dei finanziamenti, sia al sistema universitario in quanto tale, sia alla ricerca nella sua globalità. La prima ad essere colpita è stata la ricerca scientifica, con la cancellazione drastica di interi gruppi di ricerca locale, e nazionale, con prevalenza in quei settori che, per il loro carattere eminentemente teorico, erano consideranti non produttivi secondo una logica puramente economicistica oltreché miope.

Il drastico taglio di posti vacanti da mettere a concorso, nel giro di qualche decennio ha poi fatto sparire, da gran parte delle università, non soltanto singoli insegnamenti, ma intere aree disciplinari. Anche in questo caso, ad essere più colpite sono state le aree disciplinari a più alto contenuto teorico, storico ed epistemologico e meno immediatamente coinvolte nelle applicazioni.

Sul piano organizzativo, con la recente soppressione delle Facoltà (per sole finalità di compressione della spesa), sono stati raggruppati i Dipartimenti in mega unità del tutto illogiche e prive, al loro interno, di qualunque affinità scientifica, didattica e di ricerca,.

Lungi, poi, dal porre un freno alle lotte interne e alle logiche spartitorie (per altro aggravate dal progressivo assottigliarsi delle risorse), i vari interventi, più o meno ondivaghi al variare del vento, sono serviti solo ad accrescere a dismisura gli anni di precariato e l’emorragia di risorse intellettuali.

Anche nell’ambito degli studi superiori e della ricerca è prevalsa l’ideologia economicista e della competizione di mercato, con buona pace dell’art. 33 della Costituzione (libertà delle arti, delle scienze). Si è ignorato che proprio a tale scopo era stato creato il C.N.R., come struttura di altissimo livello cui affidare i progetti finalizzati, rimanendo fermo il principio di libertà negli indirizzi di ricerca degli operatori universitari. Diciamo ancora che lo sviluppo culturale, scientifico e tecnologico non può essere affidato a qualche cattedrale nel deserto (i pur lodevoli “centri di eccellenza”).

Sarebbe demagogico, data la complessità dei problemi, ogni tentativo di elencare risposte unilaterali e affrettate, ai problemi qui accennati. Diciamo però che bisogna intervenire al più presto per evitare un prevedibile declino culturale e scientifico. Bisogna intervenire presto, ma con interventi maturati nell’ambito stesso del mondo della cultura. Non più interventi estemporanei, nel nome di una sbandierata “efficienza del fare”, ma destinati, in realtà, a durare il tempo di una legislatura o del governo in carica. Da parte nostra ci impegniamo a produrre una pagina di approfondimenti sulle varie tematiche e invitiamo tutti colore che vogliono intervenire, a comunicarci le loro idee e le loro proposte.

Diritto allo Studio

Una piena attuazione del diritto allo studio comporta che chiunque abbia completato con buoni risultati un ciclo di studi, sia sostenuto in tutte le proprie esigenze, ove carente di mezzi propri, per potere accedere a un ciclo successivo secondo le sue specifiche aspirazioni e capacità. Ciò può essere ottenuto con borse di studio, sussidi, benefici fiscali, ecc.., ma anche con l’adeguamento delle strutture quali campus universitari, mense scolastiche, biblioteche ed altro ancora.

Fin dai primi cicli scolastici non deve essere ammessa alcuna possibile discriminazione, nelle mense e nelle attività extracurriculari, tra chi può pagare una retta o contributo e chi non può permetterselo. In questo senso devono intervenire Stato, Regioni e Comuni, ciascuno per le proprie competenze.

Al fine del reperimento delle risorse necessarie, deve valere il principio che l’elevazione culturale e civile di tutti non è solo un diritto dei singoli, ma una ricchezza dell’intera collettività. Pertanto deve valere il principio solidaristico per cui, chi ha più mezzi deve farsi carico di chi ne è carente. Vale anche in questo caso il principio di progressività contributiva sancito dall’art. 53 della Costituzione che non può essere riferito in modo esclusivo alle aliquote IRPEF.

Contributo: Renato Migliorato